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“Tim Rollins e K.O.S. (Kids of survival). On Transfiguration”

Recensione della mostra presso il GAMeC di Bergamo. Per Arskey.

Arte della collettività per Tim Rollins & K.O.S.

di Laura Luppi

 

L’arte come mezzo di comunicazione. L’arte come canale di espressione. L’arte come strumento educativo, didattico, creativo. L’arte come risultato di un impegno collettivo al di là dell’individualità di ogni singolo autore che vi prende parte. Tutto questo è l’arte per Tim Rollins e i K.O.S.

Tim Rollins (Pittsfield 1955) l’insegnante, i K.O.S. (Kids of Survival) un gruppo di giovani studenti provenienti dalle zone più a rischio degli Stati Uniti. Inizia tutto nel 1982, quando a Tim Rollins viene proposta una cattedra alla Public School 52 del South Bronx di New York, tra ragazzacci dei quartieri poveri, emarginati, disadattati. Il metodo adoperato da Rollins per catturare la loro attenzione rompe completamente gli schemi e li conquista tanto da generare risultati a dir poco sorprendenti. Il frutto di questo incredibile lavoro è presentato alla GAMeC di Bergamo attraverso una mostra retrospettiva che raccoglie i progetti realizzati dal gruppo fino ai giorni nostri. “On Transfiguration”, aperta al pubblico dal 28 settembre all’8 gennaio 2012, sviluppa un percorso espositivo multimediale, se per multimediale si  intende l’utilizzo di differenti media comunicativi ma che nulla hanno a che fare con le nuove tecnologie. Si tratta ancora dei tradizionali oggetti di studio, quali libri e spartiti musicali, al centro di un approccio avanguardistico all’insegnamento che funge da veicolo per l’erudizione e l’interazione culturale. Le parole di alcuni scrittori e filosofi come Eschilo, Aristofane, Dante, Flaubert, Kafka e Omero vengono concepite come veri e propri ponti in grado di creare un legame imprescindibile tra letteratura, musica e arte visiva in un processo performativo oltre che educativo. Figurazione, ma anche e soprattutto trasfigurazione, trasformazione, mutamento di aspetto e a volte di sostanza. Il passaggio da uno stadio all’altro dell’esistenza, da un piano all’altro della scala sociale, da un sentire intimistico a una condivisione generale, si situa nel punto di raccordo tra l’importanza di ogni singolo soggetto coinvolto in un progetto e la peculiarità del risultato ottenuto dalla collettività. Come i membri di una grande orchestra che col proprio personale apporto costituiscono la somma totale dei diversi elementi nell’armonia di un’unica sonorità, così i molteplici componenti del gruppo K.O.S. contribuiscono alla realizzazione di un progetto artistico comune il quale, diretto da Tim Rollins, non dimentica per l’appunto l’ispirazione letterario-musicale. Le note scritte sugli spartiti diventano infatti colore e i colori divengono segni dotati di significato quanto le lettere dell’alfabeto che vanno a comporre le parole e poi le frasi dei trattati o dei poemi da cui prendono vita.

La prima sala presenta due tele poste l’una di fronte all’altra dal titolo “A Midsummer Night’s Dream (After Shakespeare and Mendelssohn)” (2008-10) proprio in riferimento all’ouverture che Felix Mendelssohn compose nel 1826 ispirandosi alla commedia shakespeariana. Le pagine dello spartito subiscono un processo di metamorfosi grazie all’intervento di inchiostro di china, seme di sesamo e di senape, succo di mela e acrilico. Le venticinque pagine di “Machbeth (After Shakespeare)” (2001) sono invece segnate da schizzi di sangue animale, ad intensificare l’intenzione associativa al delirio omicida del protagonista del dramma. In questo caso i rimandi alla storia dell’arte non escludono né Joseph Beuys, né Hermann Nitsch. “Amerika, Infinity (After Franz Kafka)” (1987-88) contiene l’interpretazione personale del proprio autoritratto in veste di strumento musicale, processo di metamorfosi in cui si sono piacevolmente prodigati tutti i giovani autori dell’opera stessa. Sdraiati a terra, in posizione che appare quasi casuale, i quattro tronchi di legno della serie “Pinocchio (After Carlo Collodi)” (1991-92) svelano invece il loro sguardo allo spettatore stupito. Le protesi oculari che riproducono fedelmente gli occhi dei ragazzi di K.O.S. osservano il mondo circostante quasi in attesa di quel mutamento fisico che li renderà finalmente bambini, esseri viventi con personalissime emozioni e predisposizioni naturali. Della sala adiacente è “De Maximo et Immen (After Giordano Bruno, Bergamo, 2011)” (2011) al quale hanno preso parte alcuni studenti del Liceo di Scienze Applicate “Giulio Natta” di Bergamo e che attualmente risulta essere una nuova acquisizione della collezione permanente della GAMeC, grazie alla gentile donazione dell’artista.

“I See the Promised Land (After the Rev. Dr. Martin Luther King)” (2000) nasce invece dallo studio del discorso che Martin Luther King pronunciò il 3 aprile del 1968. “I have been to the Mountaintop” e “ho visto la Terra Promessa”, quel mondo libero dalle discriminazioni razziali e sociali auspicato dalla vetta di una metaforica montagna che nel lavoro dei K.O.S. assume le sembianze della figura piana di un triangolo rosso sangue. Ancora sangue sulle pagine di un libro ormai ingiallito, anch’esso soggetto a un mutamento continuo, governato dallo scorrere incessante del tempo. Sangue versato da Luther King per aver pronunciato parole di pace e libertà, sangue versato dallo stesso Giordano Bruno per amore della conoscenza e della verità.

In “On Transfiguration”, curata da Alessandro Rabottini in collaborazione con il Museum für Gegenwartskunst di Basilea, i segni si tramutano in simboli, i simboli in significati e i significati nuovamente in segni. Le parole diventano colore e infittiscono le trame della loro simbologia come oscurati o resi meno prevaricanti da intense tonalità di materia pittorica od organica gettatavi sopra. L’individualità dell’opera d’arte e dell’artista che ne dà alimento viene alterata anch’essa nella più rivoluzionaria delle intenzioni, quella di Tim Rollins & K.O.S.: la condivisione di un medesimo obiettivo creativo e performativo, che lotta per l’affermazione sociale e l’emancipazione personale attraverso il lavoro di squadra.