“Decostruzione” di Enrico Minguzzi
Recensione della mostra dedicata al giovane artista Enrico Minguzzi allo Studio d’Arte Cannaviello. La recensione per Arskey.
Enrico Minguzzi e la decostruzione dell’immagine presso lo Studio d’Arte Cannaviello
di Laura Luppi
Fino al 4 giugno lo Studio d’Arte Cannaviello di Milano espone i recenti lavori del giovane artista Enrico Minguzzi nella mostra intitolata “Decostruzione”. Dopo la bi-personale del 2008 (“Liqueforme” con Gabriele Brucceri) e la collettiva “Anni ‘10” del 2010, Minguzzi propone un’evoluzione interessante della ricerca che lo aveva portato ad avvicinarsi con attenta caparbietà all’ambiente domestico, per duplicare con soggettiva interpretazione i giochi di luci e le trasparenze che hanno costantemente luogo al suo interno. Ponendo particolare attenzione a rubinetti, vasche e lavandini inquadrati da angolature inaspettate l’effetto di smarrimento veniva accentuato dal bagliore dei riverberi delle onde visive che si infrangevano sulle superfici lisce e riflettenti del bagno. Negli spazi della galleria è ora possibile imbattersi nel conseguente sviluppo di tale progetto, che oggi per l’appunto decostruisce le forme, frantuma i pieni e attenua i toni. Non più olio, ma solo acrilico su tela per una vera e propria frammentazione dell’immagine i cui soggetti si estendono anche al mondo vegetale, alle piante e alle loro foglie non prive di vaste gamme di colori e cromatismi cangianti. La sensazione di instabilità e di vertigine viene generata proprio attraverso la riproduzione di un effetto vibrante, un movimento vacillante delle figure, frastagliate e varcate da sorte di pattern, la cui regolarità svolge la funzione di contraltare all’atipicità della rappresentazione. Lunghe strisce bidimensionali come raggi e figure geometriche piane dalle sembianze esagonali paiono invadere il campo di raffigurazione e allo stesso tempo fondersi con la tridimensionalità di oggetti che, oltre a scomporsi, sembrano sciogliersi in una sostanza liquida indefinita. Non più fluorescenze e forti contrasti per i lavori di Minguzzi, ma una nuova indagine sull’equilibrio delle tonalità, sulla progettazione meno minuziosa e su una più libera gestualità della fase pittorica. Dai grandi formati di enorme impatto non solo visivo ma anche emotivo della prima e più ampia sala, si passa a quelli di medio e piccolo formato della seconda in un assemblaggio espositivo a sua volta irregolare e decomposto. Un’esplosione atomica, dinamica e fluttuante domina la scena di fronte a cui lo spettatore subisce il fascino della precarietà del punto di vista individuale e della messa a fuoco del particolare. Con “Decostruzione” quella di Enrico Minguzzi risulta una crescita di intenti oltre che di prospettive, la quale non rinuncia alla propria timbrica ma la rinnova lasciando sempre maggiore respiro all’istintività dell’approccio creativo.