Matias Sanchez in “Caoticos” presso Costantini Art Gallery
Recensione della mostra del giovane artista spagnolo Sanchez per Arskey.
- Matías Sánchez in “Caóticos” presso Costantini Art Gallery
di Laura Luppi
“Caóticos” è la personale dedicata al giovane pittore spagnolo Matías Sánchez presso lo spazio espositivo Costantini Art Gallery, curata da Ivan Quaroni e visitabile fino al 4 maggio 2013.
La sala principale offre da subito la possibilità di imbattersi in un viaggio variopinto tra atmosfere ilari e rocambolesche, per mezzo delle quali il rapporto tra lo spettatore e l’opera diviene immediatamente un canale attraverso e grazie a cui dialogare con l’arte. I lavori di grande formato hanno una potenza incisiva fondata su due elementi principali: una pittura ad olio fortemente materica ed espressiva e la peculiarità dei soggetti raffigurati, personaggi borderline del mondo performativo tra cui danzatori, musicisti e cantanti. Eppure non è la ritrattistica a interessare il lavoro di Sánchez, non la narrazione di fatti e persone, ma il potenziale comunicativo insito in loro e caricato, se non persino caricaturato, da una libera gestualità che di essi in qualche modo si prende gioco. Così l’opera che dà il titolo alla mostra, “Caóticos” per l’appunto, inscena un dinamismo strutturato soprattutto su una rappresentazione quasi primitiva degli attori e una composizione pressoché discontinua degli elementi. Nessun manierismo quindi, per dare maggior risalto invece all’azione creazionistica che, come il caos primordiale a cui sembra alludere, manifesta un perfetto equilibrio delle parti nonostante non gli appartenga alcun ordine né piano prestabilito. Tutto si sviluppa e prende forma gesto dopo gesto, tra macchie di colore e fondi informali, tra linee e segni ricavati dall’ispirazione del giovane Sánchez, il quale pare abbia fatto propria la lezione dei certi maestri del passato, precursori di una strada affine alla sua. Non solo di espressionismo è giusto parlare, dove la componente è evidente al primo impatto, non solo di primitivismo alla Braque e Picasso ma anche alla Basquiat e al suo graffitismo di strada, anch’esso spesso a limite tra il figurativo e l’informale.
Di denuncia sociale forse non è appropriato parlare per i temi trattati, anche se di forte richiamo alla Nuova oggettività tedesca di Otto Dix e Georg Scholz, di Max Beckmann e George Grosz. Nel caso delle tele di Sánchez però affiora evidente come il supporto materiale sia da intendere come tabula rasa sulla quale lasciare che l’istinto abbia il sopravvento sull’intenzione, e la descrizione ironica e bizzarra dei protagonisti raffigurati sia funzionale alla capacità evocativa dell’artista alle prese con la sua personale timbrica.
Anche i lavori di piccolo formato esposti nella seconda sala rientrano perfettamente nelle caratteristiche appena citate, nonostante la complessità della composizione sia costretta a subire la costrizione del campo ridotto. Si passa così a una sorta di ritratti unici, dalla “Carmen” al “Falso profeta”, da “Primer día de playa” a “Dancing”, in realtà per nulla sofferenti davanti alla grandezza dei lavori di formato maggiore. Essi sono infatti in grado di concentrare le energie su un singolo soggetto e di consentire perfino una più minuziosa osservazione dei tratti e degli elementi prescelti a suggerirne la lettura. Colore, luce, pieni e vuoti, segni, figure e forme in agitazione e movimento non producono mai un senso di instabilità e angoscia, quanto piuttosto un clima ludico e gioviale da cui lasciarsi guidare come sotto il tendone di un circo, dove ad alternarsi ripetutamente sono i clown, i trampolieri e i funaboli della vita.
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