Jeff Wall al Pac di Milano
“Actually”, la mostra di Jeff Wall recensita per Cultart.
Jeff Wall e la realtà a confine con l’arte
di Laura Luppi
Mancano ancora pochi giorni per poter visitare la prima retrospettiva italiana dedicata al fotografo canadese Jeff Wall al PAC di Milano. Fino al 9 giugno sarà infatti possibile accedere agli spazi del Padiglione d’Arte Contemporanea di via Palestro per immergersi in un percorso visivo fatto di gigantografie e light box con scene di vita urbana dell’ultimo secolo e colte citazioni di grandi maestri della storia dell’arte, primo fra tutti Manet. “Actuality” è infatti il titolo della personale curata da Francesco Bonami con l’intento di omaggiare il lavoro svolto dal 1978 ad oggi da Wall, precursore dell’utilizzo dei mezzi digitali e delle nuove tecnologie in campo fotografico.
Nelle 42 opere presentate in mostra nulla colpisce lo spettatore di primo impatto, non vi è l’intenzione di destabilizzare l’osservatore con immagini cruenti o drammatiche. I toni restano calmi, quasi silenti. Tutto sembra sospeso in uno scatto a confine tra una scena rubata alla quotidianità e uno studio approfondito del set con attori e personaggi posizionati accuratamente entro i confini del campo visivo. Questo ciò che realmente incuriosisce e appassiona della ricerca artistica di Wall, che si tratti di situazioni ambientate in città a o in luoghi privati di vita domestica: un equilibrio perfetto delle parti, tra colori saturi e luci artificiali. A ben guardare, oltre l’immediatezza di una fotografia ben scattata, lo studio della raffigurazione riconduce l’approccio a una certa concettualità di intenti, evidente soprattutto in opere come “A Woman consulting a catalogue” (2005) e “In front a Nightclub” (2006), ma anche “Insomnia” e “Mimic” (1982). In quest’ultimo scatto in particolare la lettura viene suggerita da uno sguardo che si fa simbolo di un significato. Per quanto apparentemente banale, la scena immortalata da Wall si concentra su una gestualità, una “mimica” per l’appunto, che a sua volta “mima” e dunque imita la realtà di uno spaccato sociale fatto di discriminazione e razzismo nei confronti di una minoranza etnica di cui fa comunemente pregiudizio l’occhio di un passante qualunque. Una denuncia narrata attraverso un solo gesto, un’espressione di cui tutti indiscutibilmente sanno codificare il messaggio indotto attraverso un linguaggio artistico che non rinuncia alla citazione culturale. Dietro la costruzione dell’immagine si cela dunque il noto capolavoro di Gustave Caillebotte “Rue de Paris, temps de pluie” con la coppia a passeggio sotto l’ombrello in una fredda giornata di pioggia.
“The Destryed Room” (1978) suggerisce poi “La morte di Sardanapalus” di Delacroix e “Le composizioni diagonali” strizzano l’occhio al Neopasticismo di Theo von Doesburg, accusato di essere uscito dalla staticità grazie appunto all’abbandono delle uniche linee verticali e orizzontali amate da Mondrian.
Eppure Jeff Wall non cade mai nella trappola dell’intellettualismo piegato su se stesso, ma alza la testa e osserva il mondo circostante, animato da insegne e cartelloni pubblicitari, illuminazioni di strada diventate contrassegno di un’epoca nuova, pop, commerciale. Le tante e grandi light box, le fotografie retroilluminate di cui Wall è divenuto maestro nascono proprio da questa attenzione alla società in continuo mutamento, e al potenziale nascosto nei mezzi adibiti alla comunicazione di massa, fatta di lusinghe non più solo verbali ma sempre più psichedeliche e dunque visive.
Voce infine al bianco e nero di grande formato come “Hillside Sicily” (2007), e di piccole dimensioni fruibile nella sala del piano rialzato del PAC, con paesaggi e suggestioni naturalistiche imprigionate nell’attimo dello scatto. Un artista eclettico Jeff Wall, un fotografo dell’attualità scrutata attraverso un obiettivo capace di concentrare in sé la lezione della scuola pittorica, i trucchi delle tecniche cinematigrafiche e la voglia di raccontare l’uomo e il mondo da lui creato.
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