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Intervista a Martina Corbetta

Seregno, ore 15.00 circa di un freddo ma assolato venerdì di dicembre. Perfettamente puntuale varco la soglia di Martina’s Gallery e ad attendermi trovo la giovane gallerista pronta per la mia intervista. Cappellino di lana, lunghi capelli biondi legati in una treccia, jeans, maglione di lana e un grande sorriso. Da subito mi accorgo che l’energia positiva che circola nell’aria è quella di un ambiente creativo e produttivo.

Siamo appena rientrati da Miami”, mi confessa Martina Corbetta, “un’esperienza assolutamente da rifare!

Gli occhi le brillano davvero mentre mi racconta in prima battuta la sua recente visita ad Art Basel 2015, e non solo.

“Per quanto piccola Miami offre un’enorme quantità di fiere ed eventi dedicati al contemporaneo, dove a farla da padrona è la giovane arte; giovane non solo per l’età degli artisti coinvolti, ma anche dei galleristi e dei collezionisti”.

Il confronto con il sistema italiano risulta inevitabile.

“Visitare la città in quei giorni mi ha fatto comprendere quanto qui da noi le cose siano più difficili. In Italia il circuito culturale resta chiuso in se stesso, dando ancora molta importanza al settore moderno e minima al contemporaneo. I giovani artisti italiani forse viaggiano poco, si mettono meno a confronto con l’estero di quanto non facciano i loro coetanei stranieri. Stesso discorso per le gallerie. A Miami invece si respira un vero e proprio fermento creativo e la città stessa è un museo a cielo aperto. Abbiamo girato per due giorni in motorino tra le vie del quartiene Wynwood dove graffiti e murales sovrastano intere facciate di palazzi ed edifici. Niente di più facile che passeggiare e trovarsi improvvisamente davanti ad un’opera di Obey, Retna, Cryptic, Space Invaders, tanto per citare i preferiti, opere che nessuno tocca, rovina o danneggia per, magari, portarsi a casa un «souvenir». Credo incida il fattore culturale, un’educazione all’arte differente”.

La street art diviene presto il filo conduttore della nostra chiacchierata. Da come ne parla si intuisce immediatamente quanto il tema le sia caro.

“La mia passione per la street art nasce molto presto. Amo l’arte di strada e ciò che ruota attorno ad essa nel senso più ampio del termine. Amo viaggiare e amo la natura. Amo lo sport, in particolare faccio surf, snowboard e skate… passioni molto vicine al genere street/urban. In realtà è un modo di essere, una filosofia di vita”.

E in effetti questa è una delle caratteristiche che mi incuriosiscono di più nelle persone appassionate d’arte: la complementarietà dei loro molteplici interessi, apparentemente lontani eppure inscindibilmente interconnessi. Ma quanto hanno influito quelli di Martina nelle sue scelte professionali?

“Ho deciso in brevissimo tempo di aprire la galleria, credo in un paio di settimane. Sono laureata in Storia e Critica dell’Arte e alle spalle ho un passato da critico e curatore indipendente a cui è seguito un successivo periodo da consulente per gli acquisti di opere d’arte. Il passaggio a gallerista è stato abbastanza immediato. Di sicuro il mio gusto personale per la street art ha inciso sulle mie scelte estetiche. Sono interessata alla pittura, alla fotografia e all’illustrazione; queste sono le principali tecniche che prediligo, mentre sono affascinata dalle ricerche legate in qualche modo all’onirico. Questo può essere il filo conduttore che finora ha legato le scelte espositive. Per quanto differenti per tecnica e risultato Lucas Beaufort, Elisa Bertaglia e Michela Picchi, ad esempio, sono vicini a questa mia sensibilità verso l’argomento”.

Entriamo quindi nel vivo del nostro confronto e, oltre al programma, sono curiosa di conoscere l’obiettivo specifico della galleria.

“Educare i giovani non solo all’arte, ma anche all’acquisto dell’arte sia come piacere personale che come investimento. In Italia il mercato sembra interessare una fascia d’età sempre più adulta. All’estero non è così. Ricollegandomi al discorso su Miami ti assicuro che ad Art Basel era pieno di giovani collezionisti e giovani galleristi. In Italia siamo troppo pochi… Ma adesso mi chiederai perchè ho scelto di aprire la mia galleria a Seregno e non a Milano…”.

In effetti sarebbe stata la mia domanda successiva.

“Me l’hanno chiesto in tanti, e devo ammettere che è stata una sorta di sfida. Credo in questo territorio e nella zona in cui sono cresciuta. Molte persone che fruiscono o lavorano nell’arte si recano a Milano, ma poi alla fine molti provengono proprio dalla provincia, compresi tanti collezionisti. Seregno poi ha un bel centro storico, e chi è venuto a trovarmi per la prima volta è rimasto stupito della sua bellezza. Ho dovuto giusto adattare il giorno di inaugurazione delle mostre dal giovedì al sabato per un motivo molto pratico: i milanesi fanno fatica a spostarsi verso Monza e la Brianza dopo il lavoro, nel weekend è più semplice che in settimana”.

A conferma di quanto mi dice ricordo di aver visto la sua galleria colma di visitatori durante le serate inaugurali delle sue esposizioni. E poi, anch’io vivo in provincia! E per i prossimi progetti cos’ha in mente?

“Non voglio ancora rivelare molto, ma posso anticiparti che parteciperò alla fiera di Set Up (Bologna) e a quella di Affordable (Milano) art Fair 2016 e ho in mente un paio di mostre, una a febbraio e una in primavera. Tutto è in continua evoluzione e non escludo sorprese. D’altra parte la creatività fa parte anche di questo mestiere!”.

Concordo, ma voglio togliermi ancora un’ultima curiosità: perchè ha scelto Martina’s Gallery come nome per il suo spazio?

Martina sorride, “La verità è che il mio nome non mi è mai piaciuto. Da piccola chiamarmi Martina è stato quasi un incubo. Sono sempre stata esile, bionda con gli occhi azzurri. A tutti apparivo costantemente «piccola» mentre la mia voglia di diventare grande cresceva insieme a me. Oggi l’ho rivalutato. Ha un bel suono, e poi sono quasi cresciuta! Nonostante abbia cercato tante possibili varianti, mi è venuto spontaneo scegliere proprio questo. D’altronde, passami la battuta, tutte le più grandi gallerie prendono il nome da chi le ha fondate, speriamo sia di buon auspicio!”

E aggiungo che l’anglicismo rende tutto più internazionale, come da sue intenzioni!

Per concludere non mi resta che farle un’ultima domanda, magari retorica ma più che doverosa: quindi, quanto di Martina c’è in Martina’s Gallery?

“A questo punto direi tutto!”

Intervista a cura di Laura Luppi

Courtesy immagini: Martina’s Gallery