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Rodin a Palazzo Reale di Milano

Recensione della mostra dedicata ai marmi di Auguste Rodin, curata da Flavio Arensi presso Palazzo Reale di Milano.

 

“I marmi di Rodin a Palazzo Reale”

di Laura Luppi

La maestosa scalinata che porta al primo piano di Palazzo Reale per me rappresenta fin dai tempi della scuola una sorta di ascesa verso l’arte, quella delle grandi mostre fruibili nel cuore di Milano. Fino al 26 gennaio 2014 è la volta della rassegna dedicata allo scultore Auguste Rodin (Parigi 1840 – Meudon 1917) e alle sue opere marmoree riunite per noi nella Sala delle Cariatidi con la cura di Aline Magnien, Conservatore capo del patrimonio del Musée Rodin di Parigi, in collaborazione con Flavio Arensi.

L’arte non ha età, lo dimostra la comitiva di adolescenti accompagnati dai loro professori, lo conferma ancor più la coppia di frizzanti anziane in fila davanti a me alla bigliettaria della mostra. Pochi passi tra alcune delle stanze più belle del Palazzo e presto si entra in un’atmosfera davvero unica, quella di “Rodin. Il marmo, la vita”. L’allestimento è inconsueto, ma perfetto nella sua essenzialità. Un tocco di contemporaneità non guasta per meglio apprezzare il lavoro del grande scultore di cui si raccoglie per la prima volta un così vasto numero di opere in marmo, oltre 60 per l’esattezza.

Il percorso, facile e diretto, consente la loro fruizione da ogni angolatura, grazie anche alle luci che mettono in evidenza le ombre e la plasticità della materia. Divisa in tre sezioni teoriche, la mostra ripropone la prima fase della ricerca di Rodin legata ai ritratti (tra cui il celebre “Uomo dal naso rotto”) e al tema della carne e alla sua sensualità con nudi sinuosi e coppie di amanti della mitologia antica. Punto focale dell’esposizione è senza dubbio “Il bacio” (1882), la grande scultura davanti a cui è possibile sostare per contemplarne la bellezza e l’energia. Dalla fase della maturità a quella conclusiva in cui diviene maestro di quel “non finito” che caratterizza la sua personalità d’artista, Rodin mostra ancora oggi allo spettatore la sua enorme capacità di sintesi di un’estetica che trova concretezza nell’inafferrabilità del dettaglio, senso e significato nell’essenzialità di una forma lasciata incompiuta.