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Recensione della mostra di Susan Hiller

Susan Hiller, suggestioni paranormali presso la Fondazione Ratti di Como. La recensione per Arskey.

Susan Hiller e il paranormale nel contemporaneo.

di Laura Luppi

 

Lo Spazio Culturale Antonio Ratti di Como ha inaugurato il 14 luglio una mostra completamente dedicata a due dei lavori più rappresentativi della carriera artistica di Susan Hiller, “PSI Girls” (1999) e “The Aura: Homage to Marcel Duchamp” (2011). Il contenitore scelto per ospitare la personale è l’ex-chiesa di San Francesco, la quale si rivela ambientazione adatta per meglio relazionare l’opera e lo spettatore in una sinergia dall’atmosfera metafisica. Lo spazio espositivo di ampie dimensioni non abbandona infatti il suo fascino misterico, essendo stato luogo di culto destinato ora a scopi museali. La navata centrale, priva di qualunque ostacolo, è teatro per la videoproiezione di “PSI Girls”, cinque sequenze cinematografiche montate in loop di identica durata e i cui colori originali sono stati modificati con singole monocromie: giallo, blu, rosso, viola e verde. La riproduzione di ogni filmato, posizionata in maniera seriale su tutta la lunghezza della navata, propone solo alcuni fotogrammi tratti da alcune pellicole di film che narrano vicende soprannaturali di giovani donne dai poteri psico-cinetici. Cinque adolescenti vengono mostrate nell’atto di compiere una o più azioni paranormali in un crescendo di sensazioni amplificate da un’unica colonna sonora composta da ritmi di percussioni, prodotti e registrati dal coro gospel della St. George’s cathedral di Charlotte, North Carolina (USA). Da “The Fury” di Brian the Palma (1978) è stata selezionata la scena della trasmissione telepatica di energia dalla protagonista a un trenino elettrico, così da generare sufficiente forza motrice col solo pensiero. “The ability to move object by thought alone” è una delle espressioni trascritte sul cartellone posto dietro lo scenario dei binari, dai quali all’improvviso deraglia la locomotiva nella sua corsa impazzita. Da “Stalker” (1979), regia di Andrei Tarkowsky, è tratta la sequenza finale in cui la figlia del protagonista legge una poesia di Fyodor Tjutcev seduta al tavolo sul quale posa poi delicatamente la testa. Lo sguardo fisso verso i bicchieri posti davanti al suo volto riesce a provocarne lo spostamento. Un dei tre cade a terra e la superficie del tavolo comincia a tremare. In “Firestarter” di Mark Lester (1984) è la giovanissima Drew Barrymore ad avere la capacità di manipolare il fuoco grazie a cui incendiare il laboratorio presso il quale si stanno svolgendo esperimenti scientifici suoi poteri esoterici. La studentessa di “The Carft”, invece, punta una matita sul banco di scuola riuscendo a mantenerla in bilico senza alcun contatto fisico con essa, attirando così l’attenzione sconcertata di una compagna di classe. La matita non solo resta perfettamente perpendicolare al piano d’appoggio, ma inizia a compiere un movimento rotatorio repentino. Infine “Matilda” di Danny De Vito è una piccola bambina degli anni ’90 abile ad interagire con gli oggetti a lei circostanti, con divertimento e ironia. Le clip menzionate, sincronizzate efficacemente, sono di tonalità monocrome in continuo interscambio di colore e di posizione, intervallate solo dal tipico disturbo audio-visivo di uno schermo alla ricerca del canale giusto sul quale sintonizzarsi. Ciò che accomuna tutte le sequenze è dunque la prevalenza dell’elemento femminile da cui viene generata l’esperienza paranormale. Nella storia sono note le relazioni culturali tra la donna e la magia, basti menzionare figure mitologiche pagane come Medea e Circe insieme al ruolo profetico di sacerdotesse custodi del sapere divino come la celebre Pizia (interprete degli oracoli di Apollo). L’occidente cristiano tra il XV e il XVIII secolo ha fatto di quell’associazione la testimonianza tangibile della presenza del diavolo, dando il via alla celebre caccia alle streghe. Eppure ancora oggi in molte regioni del Sud Italia è affidata proprio al genere femminile la pratica del malocchio o l’annullamento di fatture. Donna e occulto, donna e ritualità sacra o profana. La donna e la parapsicologia, per l’appunto, PSI: termine utilizzato per identificare la percezione extrasensoriale o i processi di trasferimento di informazione o di energia inspiegabili in termini di processi fisici o biologici. Susan Hiller, antropologa oltre che artista, indaga proprio l’ambito trascendentale, inscindibilmente legato a quello dell’ignoto e da cui l’intero genere umano trae ispirazione per motivare quelle esperienze definibili sovrasensibili, retaggio o meno di credenze religiose e tradizioni popolari. La forza attrattiva della massa verso la filmografia o la letteratura fantascientifica risulta essere la piena dimostrazione della necessità dell’uomo di interagire con qualsiasi cosa valichi i confini del razionale, alla ricerca di stabili certezze laddove per assurdo le spiegazioni razionali non soddisfano le aspettative. Attraverso il pop, il commerciale, il pubblicitario, Susan Hiller svela la relazione tra gli eventi fisici e il significato che in essi riponiamo a volte secondo la logica del pensiero, a volte secondo la suggestione dell’inconscio, territorio recondito delle nostre paure e fragilità. L’opera in questione, realizzata per la prima volta nel 1999, è oggi degnamente ripresentata proprio in un contesto ambientale dal chiaro trascorso spirituale, quale antico luogo di culto di una fede inevitabilmente costituita su fondamenta metafisiche. Il forte paradosso tra le scene proiettate a video e l’involucro ospitante le gesta misteriche di donne che un tempo sarebbero state messe al rogo dalla Santa Inquisizione incrementa la sensazione di inquietudine e alienazione che la colonna sonora in crescendo e il regolare e ripetitivo alternarsi di immagini esasperano ancor più. La casualità della disposizione dei clip e dei colori associati ad essi spezza la monotonia del suono e dei fotogrammi montati in loop, creando un elemento di imprevedibilità nell’invariabilità della narrazione ricorrente, favorendo il rimando a uno stato di trance e di turbamento psichico.

L’abside dell’ex chiesa di San Francesco svolge invece il ruolo di altare per l’opera “The Aura: Homage to Marcel Duchamp” (color dry print), omaggio per l’appunto a uno dei lavori di Duchamp, il “Ritratto del Dott. Dumouchel” (amico dell’artista e studente in medicina rappresentato di profilo e avvolto in parte in una sorta di aura di luci e colori). Tre sono i soggetti prescelti dalla Hiller e attorniati da bagliori magnetici di cromie differenti, fonti di energia vitale esperibili solo dai chiaroveggenti secondo le filosofie prevalentemente orientali. Il tema dell’aura energetica però trova terreno fertile anche in Occidente, sia presente che passato. A cominciare dal trascorso pagano, tra le prime simbologie adottate per la rappresentazione della forza eterica associata principalmente al divino si possono menzionare i sette raggi sorgenti dalla testa di Apollo raffigurati in arte a partire dal IV sec. a.C., i quali uniti insieme andavano a formare una sorta di aureola, la stessa adottata poi dal cristianesimo a cominciare dal IV sec. d.C. per la raffigurazione di santi e personaggi biblici. Il corpo energetico di luce spirituale diviene oggi qualità specifica di ogni individuo, non carpibile con facilità dall’uomo comune, proprio quell’uomo (lo spettatore) a cui la Hiller concede altresì la sua manifestazione. I volti catturati dagli scatti fotografici celano i lineamenti offuscati da aloni di riflessi lucenti dalle tonalità fosforescenti, significanti ognuno una peculiarità del carattere o uno stato di salute ben preciso. Sensitivi e medium, al versante non opposto ma complementare di medicina e psicologia Susan Hiller pone dunque a confronto pratiche e misteri esoterici arcaici con le loro influenze sulla contemporaneità di un’epoca fondata sia sul progresso della scienza che sulla fede nel paranormale.