Lorenza Boisi e Bruna Esposito da Federico Luger
Presso la galleria di Federico Luger sono in corso due personali di giovani ma già mature artiste italiane, che si incontrano e confrontano ognuna secondo le proprie attitudini. La bipersonale è recensita per Arskey.
Lorenza Boisi e Bruna Esposito a confronto da Luger
Di Laura Luppi
Presso la galleria di Federico Luger sono in corso due personali di giovani ma già mature artiste italiane, che si incontrano e confrontano ognuna secondo le proprie attitudini.
“Water and me” è il titolo dedicato all’esposizione dei lavori di Lorenza Boisi, che presenta tele ad olio di grande e medio formato, oltre a un’installazione posizionata al centro della sala. L’acqua dunque come punto centrale di una ricerca prevalentemente pittorica, da cui è possibile trarre una riflessione riguardo l’arché postulato da Talete. Se per il filosofo greco l’elemento fluido costituiva il fondamento fisico di tutto ciò che è materiale, per la Boisi lo stesso soggiace anche al campo metafisico valicando i confini del vissuto e dell’immaginato. Tra strutture instabili come palafitte immerse in un fiume ciò che affiora, tra pennellate lunghe e dal carattere fortemente gestuale, è una sorta di autobiografia dell’inconscio. Proprio attraverso l’acqua l’artista comunica le angosce, le paure e le fragilità dell’essere umano posto di fronte alla realtà. “It’s water that makes me love you” è di grande impatto non solo per le dimensioni ma anche per un’immediata capacità comunicativa ottenuta non solo per mezzo dell’equilibrio instabile della composizione, ma grazie anche alla potenza espressiva del gesto pittorico. L’opera mostra alcune costruzioni galleggianti al cui apice sono raggruppati palloncini colorati ormai sgonfi, forse anch’essi simbolo della fugacità del tempo come i teschi spesso raffigurati nei lavori precedenti. Ritornano anche le figure femminili coperte da lunghe chiome di capelli mossi, così folte da non lasciar trasparire nemmeno i lineamenti del volto. Ma la pittura di Lorenza Boisi si fa anche scultura, sia nelle reinterpretazioni su tela di due opere scultoree del padre, sia nell’installazione composta da lunghe catene pendenti dal soffitto, a cui sono agganciati inserti di carta come fossero sospesi nell’aria o galleggianti in uno specchio d’acqua.
“In teca” riassume invece la ricerca di Bruna Esposito, artista già presente a due Biennali di Venezia, quelle del 1999 e del 2005. Presso la seconda sala della galleria si trovano affisse delle teche, all’interno delle quali ogni singola tavola di legno lascia trasparire i nodi del tempo oltre le velature bianche di pittura acrilica, sfondo neutro per costellazioni di ganci d’ottone. I piccoli oggetti in questione, fissati sul supporto, formano delle specie di stelle o pianeti solari da cui si diramano giochi di luce e riflessi di colore prodotti dall’illuminazione naturale filtrata dalle finestre dello spazio espositivo. Il continuo mutarsi di questo effetto visivo rende le piccole opere mai identiche a se stesse, in maniera da offrire diverse sembianze ad orari e condizioni atmosferiche differenti. Lo spettatore inoltre non riveste più il ruolo di semplice elemento passivo dell’opera d’arte, ma diviene responsabile e tutelare temporaneo dell’opera stessa e del suo relazionarsi al mondo esterno. Secondo un’intenzione comunicativa di tipo fisico oltre che metafisico tra l’arte e l’uomo, Bruna Esposito consente un punto di contatto dell’uno verso l’altra, lasciando aperte e per questo “accessibili” le teche. Le tracce di bucce di cipolla in bilico tra i ganci per quadri rendono la composizione molto più labile di quanto non sembri a prima vista, perché basterebbe forse un lieve soffio d’aria per farle precipitare al suolo o modificarne lievemente la posizione. Al fruitore che intende accedere all’area circoscritta dell’opera attraverso l’apertura del vetro è affidata dunque la responsabilità del suo stesso permanere e perdurare nel tempo, rendendolo partecipe e simultaneamente custode del valore dell’arte.